In Italia, il panettone ha una storia che spesso varia, ma che afferma invariabilmente il suo luogo di origine: Milano. La parola ” panettone ” deriva dalla parola italiana “panetto”, una torta di pane di dimensioni minute. Il suffisso italiano “one” ne varia il significato in “grande torta”.
Le origini di questa preparazione sembrano risalire all’impero romano, quando gli antichi romani addolcivano un tipo di torta lievitata con del miele. Nel corso dei secoli questa “torta di frutta candita” alta e lievitata appare come “cammeo” nelle belle arti e infatti appare in un dipinto di Pieter Brueghel il Vecchio, risalente al XVI secolo oltre, probabilmente ad essere menzionata all’interno di un ricettario provvisorio scritto da Bartolomeo Scappi, famoso chef personale del rinascimento italiano di papi e imperatori durante il periodo di Carlo V.
La prima associazione tra il panettone e il Natale appare negli scritti dell’illuminista settecentesco Pietro Verri che si riferisce al panettone come “Pane di Tono ” che stava ad indicare “torta di lusso”.
Ulteriori leggende sulle origini del panettone
Sebbene l’etimologia della parola “panettone” possa apparire piuttosto banale, sono storicamente emerse diverse leggende etimologiche popolari più fantasiose.
Documenti del 1200 raffiguravano una sua prima forma arricchita con miele, uvetta e persino zucca. Lo scrittore Pietro Verri (1728-1797) lo chiamò “pane di tono” (pane di lusso in dialetto milanese). L’uvetta veniva usata per augurare fortuna e ricchezza. Un’altra concezione della leggenda narra che la persona che inventò il panettone fu il nobile milanese Ughetto degli Atellani, vissuto nel 1400. Per conquistare Adalgisa, figlia di un povero fornaio di nome Toni, quest’ultimo si travestì da fornaio e inventò un ricco pane al quale aggiunse farina e lievito, burro, uova, uvetta secca e scorza candita. Il duca di Milano, Ludovico il Moro Sforza, incoraggiò poi il lancio del nuovo pane, simile ad una torta ma arricchito degli ingredienti citati, denominandolo: el Pan del Ton (o pane di Toni), in occasione del matrimonio che venne celebrato con l’onorevole presenza del M. Leonardo da Vinci (manoscritto che risale al 1470, conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Una versione cella storia più moderna si trova invece nel libro “Il Panettone prima del Panettone” ad un costo decisamente accessibile.
Gianrian Carli ne “Il Caffe” si riferisce al Panettone (1850), in un colloquio avvenuto con Pietro Verri dove allude ad un cappello clericale. Il Prof. S Reynders, del Dipartimento di Scienze del Linguaggio, Università Ca’Foscari (1987) suggerisce che il termine etimologico derivi dalla modalità espressiva milanese “pan del ton”, che significa “torta di lusso”.
Insomma le dicerie sono molte e tutte molto affascinanti tuttavia, poco dopo la fine della prima guerra mondiale, il panettone divenne famoso grazie a un giovane fornaio milanese: Angelo Motta, che rivoluzionò il tradizionale processo operativo del vecchio panettone che, grazie a lui, acquisì la sua definitiva e classica forma a cupola alta. Variando il processo operativo, egli portò l’impasto ad aumentare tre volte prima della cottura definitiva – processo che poi, a tutt’oggi, lo rende così particolarmente soffice.
Attorno al 1925, la ricetta fu nuovamente rivisitata da un pericoloso concorrente: Gioacchino Alemagna di cui tutti conosciamo l’omonimo marchio popolare e la spietata concorrenza tra i due brand che comunque, a livello italiano ci ha condotti alla notevole importanza e crescita produttiva industriale di quel famoso “pane” dolce.
Ad oggi, per garantire un prodotto di elevata qualità, solo i produttori che soddisfano i rigorosi standard previsti dal disciplinare di produzione – secondo il Decreto 22 luglio 2005 che disciplina per l’appunto la produzione, denominazione e la vendita dei prodotti lievitati e speciali da forno (GU n. 177 del 1-8-2005) – potranno etichettare i loro panettoni con la denominazione appropriata e se fino a qualche tempo fa, il disciplinare prevedeva l’impiego di lievito di birra, oggi è consentito solo il rispetto della tradizione mediante l’impiego di pasta madre acida.
Personalmente, ritengo che queste “ristrettezze” sulla disciplina di produzione non siano da attribuirsi ad una questione di “purismo” o alla pura volontà di restare ancorati al passato, con una chiusura mentale verso il futuro o la modernità ma semplicemente, ne sottolineano il rispetto nella diffusione delle tradizioni locali e di per chi ha contribuito alla crescita che, nei secoli, ci ha condotti al percorso storico-culturale che ci ha resi famosi nel mondo.