Ormai mi conoscete, amo pasticciare con i lievitati e ancor di più con i lieviti e m diletto a creare (possibilmente) connubi tra vari ceppi microbici. Ogni impasto, si sa, ha una sua resa e dato che io impasto un giorno si e l’altro pure, ho sempre una madre rinfrescata con estrema frequenza e della pasta di riporto (derivante dalla spia di lievitazione) pronta da utilizzare.
La lievitazione mista, che tra l’altro ritrovate in diverse mie recenti ricette, fa parte di un percorso approfondimento dettato dalla mia incessante curiosità e passione. E’ una pratica questa che mi intriga e oltretutto, la resa del pane e il sapore che ne deriva mi piacciono.
La miscela di lieviti e batteri di ceppo diverso è in sintesi quella che viene chiamata lievitazione mista. Essa permette l’instaurarsi di associazioni tra lieviti e batteri la cui simbiosi stimola la reazione di risposta in un impasto.
E’ scientificamente stabilito che nella pasta madre convivono diverse specie di microrganismi viventi così come sappiamo ormai decisamente bene, che il saccaromyces cerevisiae è il lievito naturale coltivato a livello industriale.
Dalla miscela di elementi della microflora microbica, tra l’altro presente in forma inferiore anche negli sfarinati, nasce e cresce un impasto nel quale si instaurano altri rapporti associativi tra lieviti e batteri così che, ogni volta, il nostro pane sarà unico e irriproducibile. Troppe variabili per poter essere clonato! Il procedimento, anche lui variabile in base tanti fattori, potrà anche essere identico ma il prodotto, decisamente no!
Detto questo, il pane che avete visto è stato realizzato con pasta madre, pasta di riporto e lievito di birra. La pasta di riporto a sua volta deriva da un impasto misto con pasta madre e lievito di birra. Come vedete si viene ad instaurare un microbiota di cui ignoriamo la composizione a meno che non si facciano analizzare i nostri impasti. Tutto questo offre stimolanti lidi da esplorare, l’importante è farlo sempre con cognizione di causa e igiene!. 😉
Ingredienti
- 500 g di farina di Tritordeum
- 345 g di acqua a 30°C
- 100 g di pasta madre liquida appena rinfrescata e pronta per l’utilizzo
- 36 g di pasta di riporto (mista)
- 3 g di lievito di birra fresco
- 11 g di sale
- 11 g di malto diastasico in polvere
Procedimento
Nella ciotola o nella boule della planetaria, versate la pasta madre liquida e il malto. Aggiungete una parte di acqua e miscelate bene. Versate la farina, il lievito di birra sbriciolato e l’acqua, lasciandone da parte circa 20/30 g e impastate senza giungere ad incordare troppo poiché l’impasto dovrà sviluppare la maglia glutinica senza troppo sforzo macchina che scalderebbe troppo l’impasto, con il rischio di compromettere la resa finale del prodotto.
Quando l’impasto inizia ad assorbire tutta l’acqua versata ma risulta ancora piuttosto grezzo, aggiungete il sale e la restante acqua, impastate ancora un pochino e fermate la macchina. Coprite e attendete 45 minuti circa.
Tornate dal vostro impasto e allungatelo verso l’alto per poi portare il lembo rialzato al centro. Ripetete questo movimento girando la ciotola per 360° fino a quando vedete che l’impasto non si stira più bene e ha preso nervo, divenendo meno elastico e tenace. Capovolgetelo formando una bella sfera tonda e coprite. Attendete il raddoppio. Vi suggerisco di utilizzare un contenitore trasparente alto e stretto per constatare il raddoppio poiché non è semplice notarlo bene se l’impasto si trova in una ciotola non trasparente. Marcate il punto di inizio con un elastico o un pennarello per non sbagliare.
A raddoppio avvenuto, ribaltate l’impasto sulla spianatoia infarinata e praticate una piega a tre da un solo lato se volete realizzare un filone come ho fatto io. Lasciate riposare una quindicina di minuti circa (20 non succede nulla) e poi, dal alto lungo, staccate una piccola porzione (30 g) di impasto per la spia di lievitazione, ripiegate l’impasto su se stesso formando un filone e rendetelo possibilmente tenace con qualche piegatura in più se vedete che si siede troppo. Degassate con regolarità tutte le bolle che si formano in modo da ricercare possibilmente una mollica che a cottura ultimata resti priva di difetti.
Rivestite un cestino di lievitazione con un telo ben spolverato di farina e adagiatevi dentro il vostro futuro pane, ricordando di capovolgerlo (chiusura impasto verso l’alto). Spolverate di farina, coprite con un telo di platica o di cotone in modo che non prenda aria e dedicatevi alla spia formando una piccola sfera che depositerete ben pressata in un bicchierino. Coprite, rimarcate il punto di inizio e lasciate partire la lievitazione.
Quando la massa della spia avrà superato di circa 5 mm il punto di rimarco, riponete tutto in frigorifero a +4°C per 8 ore circa trascorse le quali, estraete cestino e spia dal frigo. Se tutto sarà andato come previsto (io avevo 20°C in casa), l’impasto non sarà completamente raddoppiato per cui attendete il raddoppio della spia e accendete il forno portandolo al massimo della temperatura consentita e inserendo al suo interno la leccarda e un pentolino di acqua per creare vapore.
Una volta pronto il forno, preparate una pala da forno in legno e ribaltatevi su il pane che questa volta sarà con il dritto verso. Infarinate dolcemente la superficie con semola rimacinata, incidete con una lametta (io uso queste) e infornate.
Cottura in 4 step
- Primi 20 minuti di cottura a 220°C con vapore in platea (binario più basso)
- Successivi 20 minuti a 200°C senza vapore sempre in platea
- Altri 20 minuti a 180°C con teglia capovolta, portando la griglia del forno sulle guide centrali
- 10/15 minuti a 140°C (se necessita aprite lievemente il tiraggio in modo tale da permettere la fuoriuscita del vapore
Per altri suggerimenti di e sulla cottura vi rimando QUI e QUI
Buon pane!
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