Il pane, soprattutto quello a “lievitazione naturale”, come sappiamo, riscuote sempre più interesse, non solo in Italia. Essendo esso divenuto una delle principali tendenze alimentari degli ultimi anni, con pagnotte che, a prezzi assai elevati, fioccano tra l’altro sugli scaffali delle panetterie londinesi ma anche degli indipendenti food coffee o ristoranti, diviene nuovamente protagonista della scena, specialmente in Gran Bretagna.
Dopo la pesante crisi di Wall Street, risalente al 1929, molte attività artigianali vennero disperse, a favore dell’industrializzazione che ha riguardato anche il settore della panificazione. Il Saccharomyces cerevisiae o lievito di birra comunemente chiamato anche lievito commerciale per panetteria, non fu però una scoperta così recente poiché esso viene impiegato per la produzione di prodotti fermentati da forno, birra e bevande alcoliche dalla “notte dei tempi”. L’industrializzazione “soffocò” dunque il lavoro manuale artigiano ma si sa, la cultura dei popoli viene tramandata da secoli e pur non appartenendo al remoto presente, il lievito di birra fu recepito come una “nuova scoperta”.
Ad oggi, nello scenario mondiale, soprattutto quindi in Gran Bretagna, torna in voga il concetto che il pane realizzato con pasta madre acida risulta più genuino e poiché si è registrato un notevole incremento e un conseguente ritorno di “fiamma” relativamente alle attività manuali, che rendono il tutto più “artistico” e culturalmente “migliore”, le popolazioni stanno sollevando questioni che in definitiva, gli esperti del settore già ben conoscono.
Il Saccharomyces cerevisiae, non rappresenta una coltura di sintesi chimica bensì è un lievito vivo e attivo, tanto quanto lo è quello che erroneamente definito lievito naturale – si compone di acqua e farina e microrganismi spontanei. La differenza tra i due la fa soprattutto l’habitat che, nel caso della pasta madre acida, prevede una predominanza di batteri (LAB o Lattobacilli/batteri lattici, generatori di acido lattico) sui lieviti. Forse, questa differenza microbiologica non è ben chiara a molti ma esiste una notevole differenza che si traduce in aroma, gusto e tempi di conservazione più lunghi. I delicati, complessi e diversificati processi fermentativi, scatenano una confusione che viene alimentata da un marketing che travisa pesantemente il concetto che sta alla base di questi processi e così, il consumatore, si ritrova a subire due danni: uno informativo e un altro al portafogli poiché a lievitare non è solo il pane ma anche il prezzo. Questa premessa per dire che due giorni fa leggevo un articolo tratto dal Salvagente, che intitolava un suo articolo (tradotto dalla BBC) in questo modo:
“In Gran Bretagna scoppia la guerra del pane a lievitazione naturale che riguarda anche l’italia“.
Ora, vista la normativa italiana e seguendo tutte le evoluzioni della panificazione, i gruppi sui social, le notizie in rete e quant’altro tratti l’argomento Pane, la questione non mi stupisce, né mi si racconta nulla di nuovo poiché le battaglie sul pane, e i corretti (o meno) claim e non ultima, la recentissima legislatura sulla definizione di pane fresco, rappresentano parte integrante delle battaglie quotidiane contro la disinformazione che tra l’altro porto avanti da tempo su questo spazio web.
La questione tra i panettieri artigianali inglesi che coinvolge anche alcune delle catene della GDO sembra insorgere come “nuova” ma è davvero così?
Sul sito della BBC si legge che la “guerra sul lievito naturale e il relativo pane” coinvolge artigiani e alcuni grandi gruppi della grande distribuzione organizzata che poco richiamano l’attenzione sulla nomenclatura generando scompensi informativi. La Federazione inglese dei panettieri, anch’essa coinvolta, si è decisa dunque a modificare la situazione di “stallo”, generatrice peraltro di discordia volendo intervenire sulla denominazione di pane a lievitazione naturale presentando un documento che faccia luce su questo argomento che riguarda anche tutte le tipologie di prodotti, compresi quelli che contengono additivi e/o agenti lievitanti aggiuntivi, differenti quindi dalla derivazione di pasta madre acida a base di farina e acqua.
Leggendo il documento, che più avanti vi riporto in parte, tradotto, ho trovato poco sensata la focalizzazione sulla problematica relativa alla denominazione di ” lievito naturale” o di “pane a lievitazione naturale” anche perché, come specificato più volte su questo sito in altre pagine, un lievito commerciale per panetteria o lievito di birra, che dir si voglia, pur non essendo un prodotto artigianale è comunque una coltura NATURALE e VIVA anche se prodotta da un laboratorio industriale. Pertanto, un agente lievitante che produce una fermentazione attiva, viva e vegeta, se non è naturale e biologica cosa sarebbe? Mi domando!
Comprendo l’intento di evitare l’inganno al consumatore che, per effetto del marketing, viene fuorviato convincendosi di notizie falsate e del concetto che un pane realizzato con una fermentazione a base di lievito commerciale per panetteria, non essendo lattica, non sia ritenuta naturale ma è FALSO.
Questo errore concettuale sottolinea quindi un inganno o evidenzia il fatto che un consumatore è disattento e pigro? Io direi che in qualunque modo la si osservi, il problema resta oggettivo. Leggere “pane a lievitazione naturale” è senz’altro più un inganno che tuttavia, voluto o meno, poco conta poiché rappresenta un problema che va risolto.
L’emblema etimologico rappresentato dalla denominazione “pane a lievitazione naturale”, purtroppo, ci interessa tutti e i britannici non sono i soli ad evidenziare questo problema. La situazione diviene complessa e allargata e si traduce, ovviamente, in faide tra persone o gruppi di persone con la risultante che qualcuno ha finalmente deciso di redarre un documento che possa contrastare la confusione regnante sul concetto di panificazione a lievitazione “naturale”.
Chris Young, coordinatore di The Real Bread Campaign sottolineò anzitempo che la questione “inganno” rappresenterebbe il frutto di un marketing che genera solo confusione e disagi e non è l’unico a pensarla in questo modo, ovviamente. In Italia, ad esempio, molti colleghi panificatori artigiani tra cui spiccano noti personaggi come Simona Lauri, Gabriele Raimondi, Caudio Poli, la FIESA Assopanificatori e altri cari amici di impasti e teorie, compresa la sottoscritta, sono impegnati costantemente a contrastare le informazioni falsate ondeoffrire servizi informativi seri nonché le corrette pratiche operative per diffondere la cultura in arte bianca.
Tornando alle parole di Young, egli afferma anche che “rispetto alla vendita della pasta madre genuina da parte di un supermercato, non vi è alcun alcun problema, l’importante è non imbrogliare il consumatore” – Avverte inoltre che – “le nuove regole rischiano di compromettere l’integrità della denominazione, dando luogo a quello che viene definito il libero sourfaux (che immagino si possa tradurre come libero arbitrio perché non ho trovato il significato tradotto). Nove anni fa – prosegue Young – gli scaffali erano scarni di prodotti da forno realizzati con “lievito” naturale e le persone lo assimilavano ad un prodotto d’elìte. Piuttosto che dire prepareremo una pasta madre genuina e accessibile, hanno dichiarato di non voler perdere tempo ad addestrare i fornai, preferendo dunque le scorciatoie”.
Nel frattempo, presso l’agenzia alimentare Defra, è depositato un documento che chiede di approvare un codice regolamentale univoco che chiarisca una volta per tutte il concetto di lievitazione naturale.
Riflessioni personali – Continuo a percepire una gran confusione e questo mi induce a guardare oltre il mio naso. Nel caso che questo documento divenisse oggettivamente ufficiale, constato che vi sono ancora gravi errori. L’ostinazione a voler chiamare LIEVITO qualcosa che lievito NON è genera ulteriore confusione e ritengo che fino a quando non vi sarà una NETTA distinzione della nomenclatura, il problema non scomparirà. Spero di sbagliare. Ovviamente non posso che restare in finestra ad osservare e raccontare quanto accade.
In conclusione e ricapitolando, la lievitazione naturale derivante da fermentazioni cosiddette biologiche esiste in varie forme da migliaia di anni sia con la madre che con il NATURALE Saccharomyces cerevisiae. I sostenitori della pasta acida e del “lievito naturale, vivo” (come amano definirlo) ritengono inoltre che il pane realizzato con la pasta madre acida sia più nutriente e anche più facile da digerire rispetto al pane “normale” o “Tradizionale” che poi sarebbe quello realizzato con lievito commerciale. FALSO! Secondo il mio parere, il documento presentato alla Defra, persevera nel mantenere i gravi errori di fondo e per le ragioni di cui sopra, non porterà ad una questione risolutiva, a meno che qualcuno non contesti ed abbia voce in capitolo. Tra me e me, leggendo tutto ciò, ho pensato che sarebbe più opprtuno trovare una modalità di approccio più “consono” al giusto termine, per informare al meglio il consumatore riguardo alla effettiva necessità di distinguere tra le diverse tipologie di “pane” e fermentazioni. In fondo non sarebbe poi così difficile: basterebbe semplicemente etichettare il prodotto, menzionando tutti gli ingredienti utilizzando, ad esempio, la semplice dicitura “pane a lievitazione naturale con pasta acida” o, in caso di presenza dei due agenti lievitanti – madre + cerevisiae – “pane a lievitazione naturale mista, il che escluderebbe immediatamente ogni dubbio sul termine NATURALE anche perché naturale è anche il povero, bistrattato S. cerevisiae!
E’ così difficile? Evidentemente si.