La conservazione degli alimenti, e la fermentazione di materie prime altrimenti deperibili, viene utilizzata dall’uomo sin dal periodo Neolitico, risalente a circa 10.000 anni a.C (Prajapati e Nair, 2003).
La logica scientifica che è alla base delle fermentazioni ebbe inizio nel 1665, per merito dell’identificazione dei microrganismi e grazie a Van Leeuwenhoek e Robert Hooke (Gest, 2004 ).
Louis Pasteur, di cui ho già parlato in “questo articolo“, revocò la “teoria della generazione spontanea” attorno al 1859, progettando una sperimentazione (Wyman, 1862 , Farley e Geison, 1974) che evidenziasse il ruolo di una tipologia di batteri (Lactococcus lactis) presenti nel latte fermentato.
La fermentazione, dal latino fervere, fu definita da Louis Pasteur come “La vie sans l’air” (vita senza aria) che oggi prende la denominazione di anaerobica.
Da un punto di vista biochimico, la fermentazione è un processo di carattere metabolico che ricava energia dai composti organici, senza il necessario coinvolgimento di un agente ossidante esogeno. Essa svolge diversi importanti ruoli nella trasformazione degli alimenti:
- Conservazione del cibo attraverso la formazione di metaboliti inibitori quali sono gli acidi organici (acido lattico, acetico, formico,propionico), l’etanolo, le batteriocine, ecc., in relazione ad una diminuzione dell’attività dell’acqua mediante essiccazione o impiego di sale) (Ross et al., 2002 , Gaggia et al., 2011 ).
- Miglioramento della sicurezza alimentare attraverso l’inibizione degli organismi patogeni ( Adams e Mitchell, 2002 , Adams e Nicolaides, 2008 ) o la rimozione di composti tossici ( Hammes e Tichaczek, 1994 ).
- Miglioramento del valore nutrizionale (van Boekel et al., 2010 , Poutanen et al., 2009 )
- Qualità organolettica del cibo (Marilley and Casey, 2004 , Smit et al., 2005 , Lacroix et al., 2010 , Sicard e Legras, 2011 ).
Le colture alimentari microbiche sono batteri vivi, lieviti o muffe. Vengono utilizzate nella produzione alimentare per la quale, esistono notevoli dati scientifici di tollerabilità, tossicità e allergenicità.
Per fornire una ragionevole certezza che dal consumo del cibo non deriverà alcun danno “(Health Canada, 2003) è necessario documentare la presenza di un microrganismo in un prodotto alimentare e dimostrare, con opportune azioni di analisi, che l’alimento è sicuro.
La responsabilità e la sicurezza alimentare è affidata ai produttori di alimenti i quali, per legge, sono obbligati ad aderire ai numerosi quadri normativi europei che ne regolamentano la produzione.
Quando parliamo di sicurezza alimentare, facciamo riferimento alla terminologia inglese “food safety” ovvero, alla sicurezza igienico sanitaria degli alimenti che tra l’altro, specie nell’ultimo decennio, ha interessato maggiormente tutti i settori della catena alimentare. Poiché la food security, termine utilizzato per identificare la sicurezza economico-sociale e la disponibilità di approvvigionamenti alimentari, è questione pressoché secondaria, anche se non meno importante, il termine food safety identifica tutto quanto concerne l’igiene alimentare e contempla ancor più tutti i soggetti e gli organismi coinvolti.
Il 7 Giugno 2019, si è dato corso alla prima giornata mondiale della sicurezza alimentare (WFSD), volta a sensibilizzare tutta l’opinione pubblica nonché a promuovere misure preventive, identificative e gestionali dei rischi veicolati dagli alimenti. Sul sito dell’EFSA si leggono queste precise parole:
“Ogni individuo ha diritto ad avere accesso ad alimenti sicuri e nutrienti a sufficienza. Ancora oggi nel mondo quasi una persona su dieci si ammala dopo aver consumato cibo contaminato. Se il cibo non è salubre, i bambini non sono in grado di apprendere e gli adulti non sono in grado di lavorare. E quindi non può esserci sviluppo umano.”
E’ chiaro che i consumatori, quali attori coinvolti nello scenario globale, divengono sempre più parte del processo evolutivo e devono – secondo l’EFSA – poter compiere scelte alimentari ponderate. Onde poter coadiuvare l’attuazione di sistemi alimentari sostenibili, devono poter avere accesso ad informazioni ed etichette chiare e affidabili e tempestive, volte a scongiurare rischi nutrizionali e sanitari legati alle scelte alimentari. Alimenti e scelte alimentari insane aumentano l’onere globale delle patologie e travolgono tutta la filiera. Come ogni ingranaggio, un solo anello mancante arresta il motore trainante causando così problemi che si riversano anche, oltre che sulla salute, sull’economia globale.
La microbiologia degli alimenti
La microbiologia degli alimenti è la scienza che studia i microrganismi che interessano la produzione, la conservazione e l’alterazione dei prodotti alimentari. Essa si incentra su un’ampia gamma di ricerche scientifiche e letteratura, volte ad identificare gli effetti benefici e/o indesiderati che si riversano poi sulla sicurezza e qualità degli alimenti.
Le aree di ricerca, mirate allo studio di microrganismi di origine alimentare e loro interazioni con vari alimenti e ambienti della catena alimentare, comprendono i meccanismi di adattamento e risposta agli stress di trasformazione e manipolazione degli alimenti e interessano lo “sfruttamento” industriale e biotecnologico.
La diversità microbica e la versatilità, per il miglioramento della qualità, della sicurezza e delle proprietà salutari degli alimenti trattati e trasformati, porta ad indagare su colture e fermentazioni spontanee e non, contemplare dinamiche evolutive dei microrganismi patogeni che si generano negli alimenti, a studiare le dinamiche utili alla trasformazione e alla sicurezza degli alimenti nei loro diversi contesti ecologici e riguardano il genoma e tutti gli aspetti funzionali e tecnologici. La ricerca di metodi molecolari per l’identificazione, la caratterizzazione e tipizzazione di microrganismi associati agli alimenti e alle comunità microbiche complesse, verte anche verso lo sviluppo di probiotici quali integratori alimentari utili nella prevenzione e cura del malato cronico.
L’obiettivo finale dell ricerca è quello di accelerare e semplificare la comunicazione tra i microbiologi alimentari ed altri attivi in aree pertinenti, stimolando così nuove prospettive, processi evolutivi e innovazione. Non meno importante sarebbe/è il contributo derivante da un dialogo costruttivo tra scienziati e laici sulle questioni relative alla sicurezza alimentare che poi si riversano inevitabilmente sulla qualità degli alimenti associarti agli stili di vita. Un alimento insalubre è in grado di provocare seri problemi. Essi possono scaturirsi a causa di numerose cause, biologiche e non. Farmaci, ormoni stimolatori della crescita, pesticidi, metalli pesanti, diossine, componenti aromatiche e dorature (vedi articolo sull’asparagina) derivanti peraltro anche da alcuni processi di cotture a temperature troppo elevate, inquinanti ambientali, additivi, coloranti, microrganismi patogeni, imballaggi, ecc, sono considerati tutti potenziali per un grave rischio per la saluta umana.
Parlando di sostanze in grado di compromettere la food safety anche i detergenti e disinfettanti presenti sulle superfici di contatto non adeguatamente risciacquate possono risultare rischiose così come i parassiti. Tuttavia, statisticamente, le cause principali di intossicazioni alimentari sono di natura microbiologica.
Negli ultimi anni il numero dei problemi alimentari causati da microrganismi è costantemente aumentato nonostante la progressiva severità della normativa che ad oggi, per l’appunto, interessa ogni livello e settore della filiera alimentare.
Secondo la normativa europea è, di fatto, l’OSA (Operatore del Settore Alimentare) a dover garantire la salubrità degli alimenti che produce o che distribuisce, somministra e vende al consumatore finale.
E’ penalmente ed ugualmente responsabile della qualità igienica degli alimenti, oggetto della sua attività, sia il titolare di un’ industria propriamente detta che l’esercente di un ristorante o di un panificio. Chiunque produca, manipola e somministra alimenti deve garantire salubrità.
Sotto l’aspetto microbiologico, batteri,lieviti, muffe o spore, parassiti o loro metaboliti sono in grado di provocare una intossicazione in seguito di ingestione pertanto un corretto profilo igienico sanitario deve, per legge, essere mantenuto per tutta la durata della shelf life (vita di scaffale) del prodotto.
Contaminazioni, batteri, lieviti e spore fungine
Le problematiche derivanti dagli alimenti contaminati (MTA) vengono definite tossinfezioni alimentari” poiché la maggior parte dei microrganismi responsabili sono rappresentati da batteri nocivi che agiscono indirettamente attraverso la produzione di tossine.
Le endotossine lipopolisaccaridi termoresistenti sono di origine Gram- (la Salmonella è un esempio di endotossina) e si diffondono mediante “lisi” (distruzione /disgregazione cellulare). Anche a basse concentrazioni possono provocare sintomi più o meno conclamati.
Le esotossine sono invece sostanze di natura proteica, intrinseche agli alimenti e vengono prodotte da batteri vitali ed in condizioni ambientali ad essi favorevoli per proliferare. Sono molto resistenti all’azione di numerosi enzimi proteolitici (tripsina, chimotripsina) e sono termostabili, in grado perciò di mantenere inalterata la loro bioattività anche dopo esposizione a temperature molto elevate (fino a 100 °C). A seconda dell’organo coinvolto vengono definite enterotossine (Staphylococcus aureus) e neurotossine (Clostridium botulinum).
Dalle muffe invece vengono originate tossine che appartenendo al regno dei miceti (funghi e lieviti), vengono invece definite micotossine. Tra queste, particolare importanza è rivestita dalll’ocratossina “A” prodotta dal genere Penicillium, in grado di contaminare una gran varietà di alimenti (dal cacao e derivati ai cereali) nonché l’uva.
Le aflatossine (prodotte soprattutto dal genere Aspergillus), possono contaminare cereali, spezie e granaglie e possono quindi potenzialmente essere presenti anche nel latte o nelle uova di animali che nutrendosi sono stati contaminati.
A seconda dei ceppi, alcuni batteri possono presentare comportamenti diversificati per cui vengono classificati come: enteroinvasivi (EIEC), enterotossici (ETEC), enteropatogeni (EPEC), enteroemorragici (EHEC).
La trasmissione all’uomo avviene attraverso l’ingestione di derrate alimentari derivanti da animali contaminati durante la fase di produzione o lavorazione (carni contaminate e non sottoposte a cottura completa, latte crudo, latticini e uova non pastorizzati ecc), ma anche attraverso ortaggi e frutti coltivati su terreni trattati con fertilizzanti o irrigati con reflui provenienti da allevamenti infetti.
Lo Staphylococcus aureus ad esempio è spesso presente in modo asintomatico. Un’alta percentuale di soggetti definiti portatori sani infatti, pur non manifestando sintomi, possono trasmetterlo generando, nei soggetti predisposti, sindromi gastroenteritiche anche importanti. La temperatura ambiente, ottimale per la proliferazione di questo specifico batterio è compresa tra i 10 e i 45°C.
La fase esponenziale che determina la curva di crescita e che induce i batteri a produrre tossine può avere luogo solo in presenza di sufficienti nutrienti e condizioni chimico-fisiche favorevoli. Non esistono trattamenti industriali, fisici o chimici, che possano eliminare le esotossine dagli alimenti e una volta sviluppate, l’unica garanzia per la salubrità è quella di evitare le condizioni favorevoli di proliferazione.
Un’ adeguata politica di igiene ambientale e un’operatività mirata a prevenire la contaminazione o quantomeno circoscriverla quanto possibile, è fondamentale per impedire l’avvio della fase esponenziale che condurrebbe alla crescita dei patogeni. Tali considerazioni generali valgono anche per i microrganismi non patogeni, fisiologicamente presenti negli alimenti e in grado di conferire caratteristiche organolettiche e sensoriali. Anche loro, se provocati e se raggruppati in concentrazione eccessiva, possono essere in grado di generare alterazioni poco o del tutto indesiderate.
Tra i batteri non patogeni, i batteri lattici o LAB svolgono una funzione indispensabile per tutti quegli alimenti sottoposti a fermentazione, sia per le proprietà organolettiche conferite al prodotto finale, sia per la qualità e sicurezza alimentare, sia per quanto concerne la conservazione degli alimenti (motivo per il quale vengono spesso aggiunti intenzionalmente ad un impasto).
Secondo la tassonomia ufficiale pubblicata sul Bergey’s Manual (manuale di batteriologia determinativa di Bergey che contempla informazioni sistematiche e determinative per facilitare l’identificazione di batteri), i batteri si distinguono in base alla morfologia che li classifica in: Lactobacilli, Cocchi Micrococchi, Staphylococchi, Streptococchi, Enterococchi, Lactococchi, Aerococchi.
In base alla presenza o assenza degli enzimi omo ed eterofermentativi degli zuccheri i LAB possono essere
- omofermentanti (producendo esclusivamente acido lattico
- Lattobacilli eterofermentanti facoltativi (mediante glicolisi prducono lattato, acetato, etanolo o acido formico
- Lattobacilli eterofermentanti obbligati (sempre mediante glicolisi producono acido lattico o lattato, acetato e CO 2)
Essi hanno la capacità di inibire la crescita dei microrganismi patogeni e degenerativi provocando un abbassamento del pH. Attraverso la produzione di acido lattico e un abbassamento dell’attività dell’acqua sono in grado di sovrastare i patogeni.
Attività dell’acqua
L’attività dell’acqua negli alimenti, argomento che potrete approfondire meglio in questo articolo, riveste un ruolo importante. A seconda della quantità di acqua biodisponibile in un alimento, il metabolismo dei microrganismi può essere tenuto sotto controllo.
Dell’acqua presente in un alimento, una parte è “ancorata”, mediante legami intermolecolari (legami idrogeno) alle macromolecole idrofile come nei complessi proteici e nei carboidrati. In tali condizioni non è dunque disponibile per la proliferazione del metabolita in quanto, trattasi di acqua legata. Un’altra parte di acqua è invece presente in forma libera e resta disponibile potendo così favorire la proliferazione microbica.
La quantità di acqua libera in un alimento, espressa dalla tensione di vapore d’acqua della derrata stessa, si può ricavare dalla formula: a – b : a x 100 (dove a = peso del campione fresco, b = peso del campione dopo essiccamento).
Ciascun microrganismo presenta una propria soglia di Aw al disotto della quale non è in grado di utilizzare l’acqua presente nell’alimento che gli consentirebbe di sopravvivere e riprodursi. Dunque, più le molecole del citoplasma batterico sono capaci di ritenere acqua, più scende il valore di Aw limitante lo sviluppo di questa o quella specie microbica. I microrganismi osmotolleranti sono invece quelli che presentano limiti inferiori di acqua libera.
La normativa europea, che identifica varie classi di alimenti a rischio (proprio in base ai parametri di pH ed Aw) impone diversificati limiti critici e frequenze analitiche e determina i criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari che tuttavia prevedono critici meno rigorosi e accertamenti microbiologici meno frequenti per tutte le tipologie di alimenti che presentano pH 4,4 e Aw ≤ 0,92 oppure aventi pH 5,0 e Aw ≤ 0,94 poiché in presenza di tali parametri alcuni microrganismi non sono in grado di sopravvivere.
Parametri ambientali e proliferazione
L’acqua libera in un alimento varia notevolmente in funzione di parametri ambientali (pH, temperatura e umidità).
Se l’umidità ambientale è maggiore della sua Aw , l’alimento assorbirà acqua sulla sua superficie rendendolo maggiormente aggredibile dalla flora microbica esogena. Viceversa, perderà acqua dalla superficie e questa perdita verrà compensata da un richiamo di acqua proveniente dal trasudo del prodotto, con conseguente diminuzione del valore di Aw .
Gli ambienti di lavoro e le celle di fermentazione dovranno dunque essere mantenuti e monitorati a precisi valori di umidità e temperatura; quest’ultima, dovrà essere sufficiente per favorire un ottimale sviluppo dei batteri lattici ma anche permettere di ostacolare la proliferazione di microrganismi patogeni o degenerativi.
Il pH
Un ulteriore fattore, molto importante per la funzionalità biotecnologica è il fattore pH, parametro basato su una scala di valori numerici compresi tra 0 e 14 (Søren Peter Lauritz Sørensen, 1909). Il pH misura l’acidità, la neutralità o la basicità di una soluzione presente in un alimento. S. P. L. Sørensen, che da tempo lavorava anche ad ulteriori studi relativi alla scissione enzimatica, alla sintesi degli amminoacidi e delle proteine, lo portò a divenire famoso a livello mondiale poiché la velocità con la quale avviene una scissione enzimatica, è funzione, tra l’altro, del grado di acidità o di alcalinità dell’ambiente in cui essa ha luogo e la concentrazione degli idrogenioni è un fattore essenziale in tutti i processi biologici.’’
Negli alimenti, il pH può raggiungere varie soglie, alcune accettabili, altre meno e dato che l’acqua contribuisce ad aumentare notevolmente la probabilità di contaminazioni, più il valore del pH si avvicina alle soglie della basicità, più si eleva il rischio di contaminazione. La neutralità di una soluzione o di una sostanza alimentare, è rappresentata da un valore di pH neutro (pH 7). Se il valore del ph scende, la sostanza diviene più acida e viceversa.
Gli alimenti fermentati
I lattobacilli, assieme ad altri microaerofili, come alcune specie non patogene di Staphylococcus e di lieviti e muffe selezionati, trovano largo impiego nell’industria alimentare per la produzione di alimenti fermentati (carni, crauti, sottaceti, prodotti da forno, caseari vino, birra, formaggi ecc).
Oltre alle capacità fermentative, ben note sono anche le proprietà probiotiche di alcuni LAB: Lactobacillus acidophylus, L. casei, L. paracasei sono in grado di riequilibrare il microbiota intestinale.
Tra i lattici naturalmente presenti negli alimenti di origine animale, rientrano anche specie microbiche note per le capacità degenerative dell’alimento. Tra questi, il genere Leuconostoc, di origine fecale, è ritenuto responsabile di fenomeni di rammollimento ed imbrunimento o anche di inverdimento degli insaccati. I lattici eterofermentanti obbligati produttori della CO 2, sono responsabili dei rigonfiamenti delle confezioni sottovuoto o del tipico bombaggio che si verifica nei vasetti di yogurt.
Essiccamento, salatura, affumicatura o conservazione con aggiunta di sale (insaccati) e zucchero (confetture e marmellate) sono tutti trattamenti volti a ridurre il valore di Aw a parametri incompatibili con la sopravvivenza dei microrganismi patogeni.
I trattamenti fisici i più diffusi prevedono invece l’impiego del calore e quindi della temperatura più o meno elevata quale procedura di cottura, pastorizzazione, sterilizzazione o surgelazione (previo abbattimento rapido e congelamento).
L’abbattimento della temperatura
La conservazione a temperature di refrigerazione (0 – 4°C) consente tuttavia solo un rallentamento della riproduzione e della produzione di esotossine. I patogeni psicrotrofi o psicotolleranti riescono a moltiplicarsi anche a temperature inferiori ai 5°C, anche sela “lag fase” (periodo antecedente alla fase esponenziale) si allunga notevolmente. La refrigerazione di alimenti deperibili consente una conservazione a breve termine. E’ pertanto necessario ricorrere alla surgelazione e al congelamento di alcuni alimenti onde aumentarne la durabilità di conservazione.
Il mantenimento della temperatura al di sotto dei 18°C rallenta il deterioramento ma sebbene possa arrestare il proliferare dei microrganismi nell’alimento, non necessariamente li uccide. L’accrescimento microbico copre un ampio intervallo di temperatura che va dai -18°C ai 73°C.
I batteri psicrofili si riproducono in un intervallo da -10°C a +20°C e molti processi enzimatici, al freddo, sono solo rallentati. Nel caso dei prodotti ortofrutticoli è consuetudine interrompere l’attività enzimatica, prima del surgelamento, attraverso il blanching (pretrattamenti di scottatura in acqua o vapore a 70°C – 105°C). In generale lieviti e muffe sono più resistenti dei batteri e, tra questi ultimi, i Gram+ (Lactobacillus sp, Enterococcaceae, Micrococcaceae ma anche patogeni come Listeria monocytogenes) sono molto più resistenti dei Gram- (Pseudomonadaceae, Enterobacteriaceae).
Nella ristorazione, ad esempio, i cibi vengono raffreddati rapidamente, dopo cottura, mediante abbattitore di temperatura quindi, vengono veicolati nei centri di somministrazione e ivi riscaldati (operazione di rinvenimento”). Questo è il principio operativo sul quale si basano quasi tutti gli approvvigionamenti nelle mense industriali, scolastiche o ospedaliere che fanno riferimento ad un unico centro di cottura. Le derrate alimentari vengono processate per poi essere veicolate e rinvenute quando giunte nei punti di distribuzione. Se la veicolazione e il rinvenimento subiscono delle interruzioni sulla catena del freddo o del caldo o se i cibi prodotti non sono adeguatamente protetti, la sicurezza alimentare può risultare compromessa.
Altro aspetto importante e determinante per la sicurezza alimentare è la fase di scongelamento. Si preferisce sottoporre direttamente a cottura l’alimento surgelato/congelato in modo da evitare una ripresa della proliferazione batterica.
Se ciò non è possibile, l’alimento surgelato va stoccato in frigorifero (0 – 4°C) fino a completo scongelamento. Da uno studio svedese condotto dalla Food and Bioscience Unit del SP Technical Research Institute di Göteborg, è emerso che gli alimenti non dovrebbero essere scongelati con gradualità passando per il frigorifero.
I ricercatori suggeriscono che se il consumo dell’alimento non è immediato, solo per grandi pezzature, è meglio avvolgere il cibo in un sacchetto di plastica ed immergerlo in acqua fredda (essendo l’acqua un conduttore di calore migliore dell’aria favorirebbe uno scongelamento più rapido limitando così la proliferazione batterica). Lo studio riferisce inoltre che non debba esserci alcun contatto tra l’alimento e l’acqua e sottolinea che, in caso di piccole porzioni, il modo migliore sarebbe invece quello di non scongelare l’alimento ma sottoporlo direttamente a cottura.
I trattamenti termici rispettano tempi e temperature specifici, adatti per ogni tipologia di alimento. La cottura di un alimento con raggiungimento al cuore per pochi minuti di una temperatura (≥ 72 – 75°C) è generalmente sufficiente ad eliminare i rischi di patogenicità poiché la carica batterica totale viene ridotta a valori accettabili.
Gli alimenti sottoposti a pastorizzaione come il latte, le uova, la frutta, la verdura e liquidi vari, le temperature sono al di sotto dei 100°C. Così facendo, vengono eliminate le forme vegetative dei batteri patogeni suscettibili.
Alcuni microrganismi possono sopravvivere a temperature superiori a quelle di sviluppo. Si è osservato che il grado di contaminazione diminuisce quanto più aumenta il tempo di permanenza a temperature sufficientemente elevate. La velocità di deperimento dei microrganismi può quindi essere valutata in base alla diminuzione del numero di cellule vitali in base all’aumentare del tempo di trattamento.
Il numero di minuti necessari per ridurre il numero di germi esposti al calore del 90% del valore iniziale, viene chiamato coefficiente “D” (Decimal Reduction Time) ed è specifico per ogni specie di microrganismo. Più un microrganismo è termoresistente, maggiore sarà il valore D che diminuisce quanto maggiore è la temperatura. Il tempo necessario per uccidere un ceppo di microrganismi con un determinato valore di ad una temperatura costante, è direttamente proporzionale alla contaminazione iniziale.
Per abbattere la carica batterica non è tuttavia sufficiente dotarsi di apparecchiature o misuratori sofisticati. E’ indispensabile anche l’impiego di materie prime di qualità e igienicamente verificate. Questo garantisce un elevato profilo organolettico del prodotto, sottoposto peraltro a procedure di trasporto, mantenimento, conservazione e manipolazione prima della diffusione al consumatore.
Lieviti, muffe e relative spore sono termosensibili. Le ascospore, microrganismi responsabilidel deterioramento delle conserve di frutta e ortaggi (es. succhi di frutta, succo di pomodoro), sono invece particolarmente resistenti al calore.