Fermentazione nella panificazione

La fermentazione nella panificazione (completa ossidazione del glucosio) assume un ruolo di estrema importanza assieme alla maturazione, alla lievitazione biologica e alla fase di impastamento.

Un impasto affronta principalmente tre stadi o fasi:

  1. La fase di lievitazione, ovvero la fase durante la quale viene generata anidride carbonica e alcool da parte dei lieviti che, in presenza di ossigeno (fase aerobica), trovano terreno fertile per riprodursi e moltiplicarsi.
    Questa fase ha inizio durante l’impastamento. I microrganismi continueranno a nutrirsi e a riprodursi all’interno di un impasto di lievito naturale fin quando trovano condizioni favorevoli alla loro moltiplicazione. Aumentando di numero, demoliscono progressivamente le sostanze dove si trovano immersi, nutrendosi di zuccheri e producendo anidride carbonica e alcol etilico.
    L’operazione di demolizione di queste sostanze, avviene ad opera dei lieviti (saccaromyces cerevisiae) i quali vengono agevolati dai lattobacilli e altri batteri selvaggi annidati nell’impasto. Un ambiente umido, un pH acido, un terreno fertile, la conseguente emissione di anidride carbonica da parte dei lieviti, sono i fattori che generano il delicato il processo di lievitazione ovvero, quello che tutti riconosciamo come l’aumento di volume di un impasto.  I gas prodotti dai lieviti che si presentano come vere e proprie bolle nella massa lievitata, resteranno intrappolati nella struttura glutinica fino al momento della cottura del pane.
  2. La fermentazione (alcolica e lattica), ha inizio subito dopo l’impastamento, durante la fase di puntata (riposo dell’impasto) e consiste in una serie di processi chimici mediante i quali i microrganismi che abitano l’impasto, utilizzando glucosio o altri substrati, producono l’energia necessaria alle loro attività metaboliche di sopravvivenza. Tutto questo avviene in fase anaerobica ovvero in assenza di ossigeno;.
  3. Terza e ultima fase, è la maturazione che a sua volta è generata dalla fermentazione. Una buona maturazione, conferisce al prodotto finito un maggior volume, una maggiore sofficità, dell’impasto e della “texture” nel prodotto cotto e una buona capacità di conservazione nel tempo (Shelf Life).

Detto questo, come è possibile distinguere gli stadi della lievitazione e maturazione di un impasto?

Durante la fermentazione, avvengono delle variazioni interne di temperatura, rispetto alla fase di chiusura ottimale dell’impasto e quest’ultimo a sua volta, è influenzato dalla temperatura esterna di lievitazione (28/30°C), umidità (80%) e ph (5.5).

La fermentazione (alcolica e lattica) provoca un innalzamento della temperatura interna dell’impasto (reazione esotermica) di 2-3°C rispetto alla temperatura iniziale; questo succede a causa della disgregazione degli zuccheri provocata dai lieviti che se ne nutrono. La quantità di zuccheri (carboidrati solubili) varierà le tempistiche  in funzione del tipo di farina e dell’equilibrio che si genererà tra l’attività amilasica della farina stessa e la capacità microbica. Al termine della fermentazione si noterà oltretutto un calo del peso della massa di impasto pari al 2-3%. Questo perché la trasformazione degli zuccheri in anidride carbonica e alcool etilico portano ad una evaporazione parziale dell’acqua e di altre componenti derivanti dal processo chimico in atto.

Elevate quantità di acqua in un impasto, influiscono nell’accelerazione dei processi di rigonfiamento dei granuli di amido e delle proteine contenute nella farina quindi, un impasto molle maturerà più velocemente di un impasto più asciutto.

Nelle reazioni studiate in biotecnologia delle fermentazioni, il catalizzatore della reazione, cioè le cellule stesse, non si consuma ma ne viene prodotto di nuovo che origina nuovi batteri: Substrato →Batteri  Prodotti + Batteri. La cinetica della reazione serve a stabilire la massima velocità di crescita dei microrganismi (Manzoni, 2005).

La velocità di reazione può essere espressa in termini di generazione di nuove cellule (r) la quale esprime la generazione di nuovo prodotto o la scomparsa di substrato in relazione al tempo. La velocità di crescita in relazione al substrato è espressa dell’equazione di Monod

Reazione di monod

In cui:

  • µ= velocità della reazione;
  • μmax= velocità massima della reazione;
  • Cs= concentrazione del substrato espressa in g/L;
  • Ks= costante di affinità substrato microrganismi

Per meglio comprendere, in caso foste appassionati come me, vi rimando ad un complesso documento che, anche se molto complicato, spiega molto poco sinteticamente ma bene tutto il complesso ecosistema fermentativo e mi sento di aggiungere che standardizzare un pane è forse l’errore più grande che si può commettere.

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Le componenti interne ed esterne intrinseche all’impasto dunque si possono riassumere in questo modo:

  • la quantità di lievito utilizzata e le sostanze che lo nutrono;
  • gli enzimi che partecipano alla scissione delle proteine della farina e delle molecole dell’amido in zuccheri semplici;
  • la temperatura dell’impasto;
  • la temperatura ambientale al quale è sottoposto l’impasto durante la fermentazione;
  • le tecniche o meglio il procedimento utilizzato nella panificazione
  • L’esotermia

impasto fermentato

Alcuni impasti ad esempio, vengono lasciati fermentare a lungo proprio per ottenere un risultato che restituisca il massimo del sapore ottenuto dai cereali o dalle miscele create.

Spesso, per avvicinarci il più possibile ad un prodotto ben riuscito dobbiamo impiegare tecniche di manipolazione adeguate e strumenti di controllo della temperatura come gli abbattitori. La tecnica del freddo ci è utile a rallentare il processo di lievitazione/maturazione prolungando l’attività enzimatica in modo che i lieviti possano agire lentamente e parallelamente al processo chimico in atto.

In tutto questo si rende assolutamente necessaria la ricerca di un buon equilibrio tra tempistiche, temperature e ingredienti primari (farine adatte alla panificazione), non sempre semplice da trovare.

Ad esempio, panificare in un ambiente troppo caldo quando una giornata è fredda diventa una vera e propria sfida e non è detto che sia sempre vincente o perdente poiché la panificazione è definita “arte bianca” anche e soprattutto perché dietro vi è una scienza non sempre esatta agli occhi degli amatoriali ma anche di molti panettieri artigiani che la affrontano senza cognizione.

La fermentazione, tradotto in modo più semplicistico, può assumere diversi aspetti a seconda della tipologia di lieviti che popolano un impasto e lo propagano. Si divide in:

Fermentazione alcolica è ottenuta mediante l’impasto è popolato da miceti (funghi) denominati Saccharomyces Cerevisiae.

Fermentazione lattica quando è popolata da ceppi di batteri lattici (presenti soprattutto) nel lievito madre. Tra questi batteri predominano soprattutto specie come il Lactobacillus plantarum, il L. sanfranciscensis, il L. brevis, il L. pontis, il L. reuteri.

La fermentazione alcolica consta di due fasi distinte. In una prima fase, gli zuccheri complessi vengono scissi in zuccheri semplici (glucosio e fruttosio). Nella seconda fase si ha la glicolisi (distruzione del glucosio) e rilascio di anidride carbonica e etanolo. La reazione chimica fu trascritta dal chimico francese Joseph Louis Gay-Lussac  (1778-1850).

La fermentazione alcolica interessa numerosi processi industriali e viene impiegata per produrre etanolo e biocarburanti, bevande alcoliche, prodotti lievitati da forno.

Nella fermentazione lattica, i LAB riescono a convivere in “simbiosi” con numerose altre specie di microrganismi differenziati e possono variare a seconda della zona geografica e/o dell’habitat in cui il lievito madre staziona e si riproduce. L’attività antagonistica dei batteri lattici è dovuta alla produzione di acidi tra i quali quali l’acido lattico che abbassa il pH e agisce da inibitore verso ulteriori forme microbiche.

Uno dei più diffusi microrganismi presenti all’interno della pasta madre è proprio il Lactobacillus Sanfransciscensis. Lavorando parallelamente con il Candida Milleri (altro microrganismo fungino frequentemente presente nella madre) ed essendo intollerante al maltosio, viene sostenuto nella sua attività fermentativa dal L. Sanfrancisensis che digerisce bene il maltosio, lo metabolizza e produce una vasta quantità di glucosio molto ben tollerato dal C. Milleri che a sua volta, fa sì che l’acidità provocata dai lieviti di minor rilevanza (Saccaromyces exiguus), favorisca il proliferare del L. Sanfrancisensis.
Il rilascio di un quantitativo elevato di glucosio inibisce i lieviti minori e consente la fermentazione e conseguente “propagazione” di un impasto.

Affascinante non trovate?!?

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2 Replies to “Fermentazione nella panificazione”

  1. Maurizio Orgiu

    Articolo a dir poco affascinante!!! Da leggere e rileggere un migliaio di volte.
    Tra l’altro sono alla ricerca di qualche libro in italiano che tratta questi argomenti.
    Qualcuno conosce dei testi??
    Grazie

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