Tra le novità della panificazione casalinga (che come sapete pratico anche io) vi è un nuovo termine: “autolisi attiva“.
Come abbiamo visto nei miei due precedenti articoli dedicati a questo interessante metodo operativo (inserisco i link in fondo alla pagina per chi li avesse persi), autolisi è un termine che definisce una metodica di lavorazione e che fu coniata dal Prof. Raymond Calvel, docente e ricercatore di spiccata fama, al quale si devono la rinascita e lo stile del pane tradizionale francese ed europeo.
Dal punto di vista del processo biochimico (vi ricordo che bio è un termine che indica “vivo, che vive”), sarebbe, anzi, è, più corretto riferirsi al processo idrolitico.
Idrolisi, dal punto di vista biochimico, rappresenta una terminologia che sta ad indicare una scissione enzimatica con conseguente disgregazione di “particelle” concernenti gli elimenti idrolizzati (nel nostro caso, elementi dello sfarinato impiegato per realizzare il pane, oppure presenti nella madre acida stessa che è propriamente un prodotto o composto idrolizzato). Essa trae origine da una naturale “divisione” e conseguente distruzione (lisi) delle proteine (nel caso della farina) quando è a contatto con un solvente (liquido).
Veniamo dunque il termine “autolisi attiva”. Cosa significa davvero?
Se inserico una madre acida nella miscela di acqua e farina in un nuovo impasto, sto già utilizzando un composto idrolizzato e quindi, che ha precedentemente subito una idrolisi, motivo per il quale, nel prodotto finito, ottengo un prodotto con gusto aromatico differente. L’aggiunta a questo composto “acido” (la madre) di acqua e farina, seguita da una successiva fase di riposo o stasi, è quindi riconducibile a quello che chiamiamo rinnovo o rinfresco della madre stessa, qualunque sia il tempo di stasi. Erroneamente tuttavia, viene definito da alcuni, autolisi attiva.
Analizzando meglio e andando oltre il processo biochimico, senza tuttavia dilungarmi sugli effetti o i risultati trasferiti nel prodotto finito, questa terminologia va ad incrementare una vasta gamma di precedenti terminologie e concetti convenzionali e convenzionalmente utilizzati sui canali social, non propriamente dunque, specifici del mondo della panificazione professionale. In pratica quella del termine autolisi “attiva” è una concezione errata.
Considerando che tutti possiamo permetterci di usare termini a nostro piacimento, si dovrebbe raggiungere però la consapevolezza dell’ aver improvvisatoe buttato lì un termine a caso e privo di ragionamento logico anche perché, in breve tempo, si raggiunge una viralità tale che anche l’artigiano che esercita per scopi commerciali inizia a tramandarli al punto tale che con gli anni, magari, li si ritrovano anche sui libri (vedi licoli o gelatinizzazione a freddo). Lbri che però poco hanno a che fare con una valenza scientifica e dei quali dovremmo “cibarci” tutti per non spendere inutilmente.
Se un processo biochimico naturale è di per se già ben ben attivo, la risposta alla domanda posta da chi ne vuol provare il metodo, non può quindi essere priva di logica e ragionamento. Questa è la risposta che ho letto che viene data: “autolisi attiva significa che è comprensiva di lievito madre e/o lievito di birra” ma questa è una risposta ASSOLUTAMENTE ERRATA.
Premetto che qualcuno, in precedenza, aveva già provato a divulgare il concetto che l’autolisi potesse contenere anche una parte di – “lievito” o di madre.
Un impasto di acqua e farina al quale si aggiunge madre acida (LAB e lieviti) altro non è che un rinfresco della stessa. Un impasto di acqua e farina al quale è stato aggiunto lievito S: cerevisiae altro non è che un poolish o una biga (in rapporto ad acqua tempi e dosi). Autolisi attiva è errato e, non sapendo, alcuni, come denominare un impasto di acqua, farina e lievito in fase stasi durante la lavorazione, colui o colei che hanno diffuso questo concetto, hanno pensato di definire erronemanete questo processo operativo: autolisi attiva.
Quanta confusione!
Dal punto di vista della comunicazione social e virtuale, sopratutto all’interno di gruppi, una convenzione terminologica può rivelarsi utile per potersi comprendere, scambiare messaggi e comunicare. La cosa importante è SAPERE che di convenzione si tratta e che il termine “autolisi attiva” resta puramente e convenzionalmente un errata denominazione di una delle diversificate metodiche operative. Voi direte, ma si, basta che alla fine il pane viene buono!. Questo è vero fino ad un certo punto perché quando si interagisce con gli altri, è necessario. oltre che etico, prestare attenzione a ciò che si tramanda, soprattutto al “digiuno” di turno.
Qualcuno dirà – dovremo pur dare un nome ad un metodo che, convenzionalmente, possa permettere all’arte bianca di essere tramandata. Il concetto è qui! Si sta tramandando l’arte bianca o si desidera tramandare il proprio, convenzionale, metodo contemplato in quella parte dell’insegnamento che impone un approccio privo di rispetto per chi apprende?
Autolisi: A chi si deve la paternità del metodo
Autolisi: Tecnica di impasto nella panificazione