Il lievito di birra, è un prodotto naturale che da luogo ad una lievitazione di carattere biologico. Più propriamente denominato Saccharomyces Cerevisiae, è un organismo fungino unicellulare che si riproduce per gemmazione. Il suo impiego è frequente in panificazione, produzione di birra e vino. Nel campo scientifico cito-genetico, il Saccharomyces cerevisiae assume la caratteristica di “modello eurcaiota” (1996) il cui genoma è stato completamente sequenziato. Una particolare attenzione viene data alla banca dati del genoma di S. Cerevisiae poiché rappresenta un importante mezzo di conoscenza e approfondimento della cellula in genetica e fisiologia. Una delle più famose banche dati del Cerevisiae si trova a Monaco, presso il Centro Informazioni sulla sequenza delle Proteine.
Commercialmente, il lievito di birra si trova sul mercato come lievito fresco (compresso) o secco. Il lievito fresco ha un aroma caratteristico ed è facilmente riconoscibile all’olfatto. Il lievito secco a sua volta può essere classificato in secco attivo e istantaneo.
Il fattore di conversione da lievito di birra secco a lievito di birra fresco o viceversa è è utile quando si desidera panificare con l’uno o l’altro lievito. Un panetto di lievito di birra fresco (compresso in panetto) pesa 25 g che, equiparato al contenuto di una bustina di lievito di birra secco che generalmente pesa 7 g, avremo:
7/25 = 0.28
Se una ricetta prevede, ad esempio, 9 g di lievito compresso, moltiplicheremo per 0.28 e il risultato corrisponderà a 2,52 g di lievito secco da impiegare in ricetta. Se, al contrario, una ricetta prevede lievito di birra secco, chiaramente si moltiplicherà per il fattore di conversione.
Nota aggiuntiva – 15/01/2018/ – Dalle mie ricerche ho recentemente scoperto che esiste una differenza sostanziale tra il lievito secco attivo e il lievito istantaneo. Il secco attivo può essere usato al 50% del peso del lievito fresco mentre quello istantaneo al 40%. Questa ricerca nasce dalla mia necessità di comprendere per quale motivo, usando il lievito secco istantaneo o attivo, non riuscivo mai ad ottenere gli stessi risultati che invece ottenevo con il panetto di lievito compresso (fresco). Ho trovato quindi un suggerimento che ho poi comparato con altri risultati di ricerca per averne conferma e ha funzionato. Sui miei impasti notavo proprio ciò che poi, ricercando, ho trovato e questa ricerca ha confermato le mie perplessità sul lievito secco ed il suo impiego. Ero addirittura arrivata a pensare che le mie bustine, pur essendo lontane dalla data di scadenza non erano conservate correttamente e invece così non era.
L’articolo, tratto dal S. Francisco Backing Institute dice:
“Sulla base della raccomandazione dei diversi produttori di lievito, molte persone sono convinte che la conversione corretta per il lievito istantaneo sia del 33%. Questo può essere vero per quanto concerne un processo industriale. Tuttavia il 40%, considerato sul lievito fresco, rende meglio in un processo artigianale, questo, anche e soprattutto, perché le temperature dell’impasto sono generalmente inferiori da quelle dei laboratori artigianali. Il lievito secco istantaneo è più comodo da usare poiché non ha bisogno di essere reidratato prima di essere aggiunto all’impasto, si può miscelare direttamente alla farina”. – Su alcune bustine di lievito secco infatti trovo scritto “non necessita di attivazione”. – L’articolo poi prosegue:
“L’unica precauzione che esso richiede è che non dovrebbe trovarsi a diretto contatto con le fredde temperature, pertanto, dovrà essere mescolato direttamente con la farina prima che si trovi a contatto con l’acqua, oppure, aggiunto in seguito quando l’acqua sarà stata incorporata”.
Il S. Cerevisiae viene prodotto mediante dei biofermentatori che ne consentono la moltiplicazione in condizioni ottimali, ovvero in ossigenazione, a circa 30 °C, a contatto con substrati zuccherini generalmente a base di melassa di barbabietola. Al termine della coltura, la biomassa viene recuperata mediante centrifugazione ottenendo così una “crema” che poi viene pressata, in modo da ottenere il lievito fresco (in panetti) e può essere sottoposto a successivi “lavaggi” ovvero trattamenti mirati all’eliminazione del substrato residuo. Per la produzione del lievito secco attivo, il materiale viene liofilizzato. (Vedi il brevetto).
Poiché sui lieviti industriali, la permanenza dei residui del substrato di melassa con la quale è stato prodotto il lievito possono causare fenomeni di sensibilizzazione per cui chi presenta intolleranze, può far ricorso al lievito ecologico ossia, coltivato su un terreno a prevalenza cerealicola.
Per mantenere la sua piena capacità fermentativa/respiratoria, il lievito fresco deve essere conservato ad una temperatura non inferiore ai 2°C e non superiore agli 8 °C. Prima del suo utilizzo deve essere fatto ambientare per ottenere il massimo risultato dal suo impiego. La maggior parte delle cellule di lievito muoiono ad una temperatura di circa 40 – 45 °C.
Se in un lievito è presente una buona percentuale di cellule vecchie o morte, il suo metabolismo risulterà assai compromesso liberando, tra l’altro, il glutatione (per maggiori approfondimenti clicca qui), una sostanza che, all’interno dell’impasto, conduce all’indebolimento della struttura glutinica.
Un’alternativa all’uso del lievito biologico in cucina/pasticceria è il lievito chimico o polvere lievitante (baking powder).
La lievitazione degli impasti avviene attraverso la produzione di gas (CO2) mediante l’attività fermentativa di microrganismi (lieviti e batteri) che si trovano in forma pura nel lievito di birra e in forma mista (insieme ad altri microrganismi) nella pasta madre acida. Questi microrganismi (agenti appartenenti alla classe degli Ascomiceti), si moltiplicano in presenza di ossigeno (condizione di aerobiosi), mentre, in assenza di ossigeno (condizione anaerobiosi) fermentano. In presenza di acqua e ossigeno, le cellule di lievito producono calore e gas fermentativi (CO2). Questa elevata attività dei lieviti dà luogo alla lievitazione di un impasto.
Quando si parla di lievitazione naturale, ci si riferisce tanto alla pasta madre acida, quanto al lievito di birra.
Un adeguato impiego del lievito di birra può restituire degli ottimi prodotti lievitati da forno e garantire la riuscita di aromi e sapori soddisfacenti, soprattutto dove vi sono diverse tipologie di impasti da trattare e prodotti da distribuire. La panificazione con il lievito di birra e quella con pasta madre acida non possono essere comparate anche se la madre di pasta acida è composta, in minima parte, di Saccharomyces Cerevisiae. Il rapporto tra lieviti e batteri è di 1:3 e i prodotti che ne derivano presentano una “leggerezza” diversa, un’alveolatura diversa e profumi e aromi equidistanti. La conservabilità dei prodotti realizzati con lievito di birra viene ad essere penalizzata, per il resto, sono entrambi degli ottimi agenti lievitanti NATURALI.
(Alcune info sono tratte da Wikipedia).