Lievito di birra ovvero Saccharomyces Cerevisae

Il Saccharomyces Cerevisiae può essere definito il “Re” dei lieviti. Le cellule di lievito misurano circa 4×7 micron. Un grammo di Saccharomyces Cerevisiae contiene circa 25 miliardi di cellule che si riproducono per gemmazione. Pochi conoscono la sua denominazione reale; è infatti più diffuso come lievito di birra. Io ho appreso il suo vero nome solamente da quando ho approfondito meglio l’argomento.

Saccaromyces Cerevisiae

Se come me siete curiosi, vi lascio dei riferimenti storici sul pane ma soprattutto sui brevetti di produzione che ho trovato particolarmente interessanti poiché sono 30 pagine di brevetti depositati per un totale di 300!! Forse vi starete chiedendo perché, un sito che si occupa di pasta madre, affronta anche l’argomento dedicato a questa tipologia di lievito? Ebbene, intanto, la panificazione con lievito di birra è una panificazione del tutto naturale poiché le cellule di lievito, pur se isolate e selezionate in laboratorio in quantità industriali, sono cellule naturalmente presenti nell’aria e negli ambienti che frequentiamo. Inoltre, perché a differenza di quanto alcuni pensano, la pasta madre non ne è priva. La pasta madre, oltre ai batteri lattici contiene al suo interno almeno una ventina di specie di lieviti tra i quali anche il lievito di birra. Infine, l’arte bianca non si dovrebbe ridurre al solo impiego della pasta madre perché abbraccia un mondo articolato di scienza e pratica. Questo concetto, per fortuna, l’ho acquisito nel tempo, cosa che, a mio parere, tutti i panificatori dovrebbero fare e devo dire grazie a due splendide persone che sono state e sono tutt’ora per me fonti inesauribili: Simona LauriGabriele Raimondi. A loro rivolgo un sentito ringraziamento per essere sempre così disponibili nel divulgare i “segreti di un’arte”.

Prima di parlare del lievito desidero introdurvi alla fermentazione ovvero, un processo chimico che rilascia energia sotto forma di zucchero (saccaride), principalmente glucosio, inoltre, lievitazione, fermentazione e lievitazione sono tre processi legati tra loro anche se ben distinti.

Molti sono gli organismi che ricavano dal glucosio l’energia chimicamente necessaria alle proprie funzioni vitali tanto che durante la fermentazione, grandi molecole di glucosio vengono ridotte in micromolecole, divenendo quindi più facilmente utilizzabili “dall’organismo” vitale che se ne dovrà nutrire (il lievito).

Il fenomeno fermentativo fu portato alla luce dallo scienziato francese Louis Pasteur (19° secolo) anche se prima di lui, ulteriori scienziati, fin dal 1676 se ne sono occupati. Il processo fermentativo avviene due fasi: fase anaerobica (cioè in assenza di ossigeno) e aerobica (in presenza di ossigeno ovvero di respirazione cellulare), dove gli zuccheri semplici vengono trasformati in anidride carbonica, acqua e massa cellulare.

Durante l’impastamento e nella fase immediatamente successiva, il lievito si riproduce molto rapidamente operando una respirazione (fase aerobica). Quando tutto l’ossigeno presente nell’impasto viene consumato, le cellule di lievito operano la fermentazione alcoolica cioè, da questo punto in avanti, il Saccharomyces Cerevisiae produrrà anidride carbonica ed alcool etilico.

Quando si parla di fermentazione non si può non parlare di enzimi poiché questi concorrono ad una serie di reazioni chimiche, ognuna delle quali, assegnata ad un singolo enzima. Gli enzimi sono collane di aminoacidi che ripiegandosi su se stesse formano involti irregolari che presentano ‘incavi’ e ‘spigoli’ sulla superficie.  Il numero di molecole che un enzima è in grado di trasformare in un minuto è detto turn over che in lingua inglese significa “trasformazione”. A seconda della velocità raggiunta, gli enzimi sono capaci di trasformare fino a 36.000 molecole al minuto.

Toniamo ora al nostro lievito. Il lievito di birra si compone di minuscole cellule fungine presenti in ogni dove, quindi anche a casa nostra.

Quando trovano terreno fertile (farina, frutta, mosto d’uva, ecc) le colonie di lievito si riproducono moltiplicandosi dando luogo alla fermentazione. La loro forma al microscopio può risultare ellittica (sferica o ovale) e/o filamentosa.

Nelle cellule dei lieviti è presente l’enzima zimasi (abbiamo spiegato prima cosa fosse un enzima ricordate?). Questo enzima ha il potere di demolire gli zuccheri presenti sulla superficie dell’alimento, luogo di deposito del lievito. Successivamente vengono a formarsi piccole particelle o molecole di glucosio di cui il lievito si nutre.

Il lievito di birra è utile nella panificazione, nella preparazione della birra e del mosto. Altri approfondimenti sulla selezione del Cerevisiae a livello industriale sono presenti qui : VAI AL LINK.

Come utilizzare il lievito di birra in panificazione?

L’impiego di alti dosaggi non è raccomandabile. Impiegando alte dosi di lievito di birra si conduce un impasto ad una lievitazione troppo precoce il che andrebbe anche bene se non ci fosse il problema della maturazione di tutti i processi instrinseci all’impasto. Le maturazioni lunghe, dovute ad adeguati dosaggi di lievito di birra sono auspicabili e da preferire per diverse motivazioni: il prodotto finito è più qualitativo, se ne migliora la “vita sullo scaffale” (Shelf Life), il gusto ne guadagna perché sviluppa più aromi che si avvicinano a quelli della pasta acida e, non meno importante, il prodotto risulta senz’ombra di dubbio più leggero.

Un esempio che calza benissimo e che spesso prendo come esempio per chi mi chiede spiegazioni, è il processo digestivo umano (vi invito ad approfondirlo a questo indirizzo poiché la pagina è molto interessante, comprensibile e assimilabile da chiunque).

Come avete potuto constatare leggendo la pagina indicata, dedicata alla digestione, i tempi di maturazione e digestione del cibo sono lunghi e il nostro corpo deve svolgere un laborioso e complesso processo di coinvolgimento di organi per digerire il cibo ingerito. Durante la panificazione, dovremmo cercare di replicare più o meno lo stesso concetto affinché venga evitato l’ABUSO del lievito di birra.

Effetti negativi sul prodotto da forno si possono comunque notare non solo se il lievito è utilizzato in dosi eccessive ma anche e soprattutto se è utilizzato in dosi notevolmente inferiori a quelle consigliate; si può arrivare addirittura al “marciume” dell’impasto per eccesso di debolezza, con conseguente sviluppo di aromi poco gradevoli nella mollica del prodotto finito, riduzione di volume ed ispessimento della crosta, pesantezza e presenza di spaccature irregolari sulla crosta stessa.

Quali sono quindi le dosi suggerite?

In base alla metodica di lavoro e al tipo di pane, la dottoressa Simona Lauri ci suggerisce:

  • Impasto diretto: 01 – 05% (sempre calcolato sulla farina e non sull’acqua)
  • Impasto diretto corto: 3 – 5% relativo alla produzione del pane e a un impasto (sempre diretto corto) “grasso” cioè con uova, burro e tuorli in percentuali elevate, o comunque con ingredienti che rallentano naturalmente il fenomeno fermentativo
  • Impasto indiretto: variabile in base al tipo di pane ed al quantitativo di biga utilizzata
  • Biga : 1% indipendentemente dalla stagione
  • Pani dolci con burro e uova: 5 – 6%
  • Poolish: 2.5% per 2 ore di fermentazione a temperatura ambiente
    • 1.5% per 3 ore di fermentazione a temperatura ambiente
    • 1.0 % per 4 ore di fermentazione a temperatura ambiente
    • 0.5 % per 8 ore di fermentazione a temperatura ambiente
    • 0.1% per 12 – 16 ore di fermentazione a temperatura ambiente.

Il biologo nutrizionista Gabriele Bernardini, in merito al lievito di birra scrive:

http://www.menuallergeni.it/2016/12/13/lintolleranza-al-lievito/

La dottoressa Simona Lauri in quest’altro articolo scrive:

In questi ultimi anni abbiamo assistito ad un impensabile quanto immaginario boom mediatico, economico e d’immagine relativamente al lievito di pasta acida naturale inteso come simbolo indiscusso di professionismo assoluto da parte di qualche tecnico/consulente di arte bianca o, ancora peggio, come condicio sine qua non per non essere annoverati nella schiera degli incapaci.

Mi riferisco alle accuse mosse dai consumatori ai tanti e seri professionisti artigiani che usano quotidianamente il lievito compresso e che considerano il pane una vera e propria arte; coloro i quali ne abusano con percentuali che superano il 5,0% sulla farina, lavorando sempre e solo con il metodo diretto, pensando di ridurre i tempi di lavorazione per guadagnare di più non sono conteplati qui…continua a leggere QUI.

Ringraziamenti a: Simona Lauri OTA Milano, Gabriele Bernardini, biologo nutrizionista e Menù allergeni, Enciclopedia TreccaniTaff, Talkin´about Food Forum – Le scienze e tecnologie alimentari e altre fonti.

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