La pasta di riporto, chiamata anche criscito o crescente (dipende dai vari dialetti regionali) consiste in una piccola parte di impasto estrapolata da un impasto precedente e mantenuto in frigo per un tempo variabile.
Vi è ancora molta confusione tra pasta madre e pasta di riporto e molti ne ignorano addirittura le differenze e i metodi di utilizzo per cui ho pensato di dedicare qualche riga in merito per chiarire quanto altri miei colleghi hanno già fatto.
Wikypedia cita queste parole: “Le persone tendono a fare molta confusione tra pasta di riporto e madre. In realtà, madre, o pasta madre, o lievito di pasta acida, sono la stessa cosa. La pasta di riporto, nel meridione d’Italia è indicata con il nome di “criscito”, o “crescente”, e altro non è che quel panetto di impasto che, tolto da quello della lavorazione precedente completa di tutti gli ingredienti, sale e Saccaromyces. Cerevisiae compreso, è utilizzato tutto negli impasti successivi ma contiene lievito di birra”.
Piergiorgio Giorilli ed Elena Lipetskaia ce la descrivono nel loro ultimo libro intitolato “Il grande libro del pane”, come un impasto prelevato da un impasto del giorno precedente, realizzato con farina, acqua, sale e talvolta grassi (olii vari, burro e strutto) ma secondo quanto scritto nel libro, non esistendo a quei tempi ancora il lievito di birra, non poteva che essere un derivato di un primordiale impasto fermentato, contenente solo acqua e farina, originario dell’Italia del sud.
Ecco qui che siamo di fronte ad un’incongruenza…Chi ha ragione?
In pratica, a me viene naturale pensare che se un impasto “precedente” è stato creato con lievito di birra, con pasta madre acida o addirittura con entrambi, dal momento che stacchiamo un pezzo dell’impasto completato e fermentato per tenerlo da parte ed utilizzarlo nel prossimo impasto, possiamo definirlo RIPORTO perché si “porta dietro” o “riporta” nel nuovo impasto, TUTTI gli ingredienti inseriti (compreso il sale se presente). .
Da informazioni di G. Bernardini, biologo nutrizionista, ho appreso che il riporto può essere impiegato in rapporto del 20%, in combinazione con una parte di lievito fresco (quindi avremo una successiva lievitazione mista). La percentuale di lievito fresco in associazione al riporto dovrà restare tra lo 0,1-0,2% è potrà essere evitato, quando il riporto impiegato arriva a superare il 20% del peso totale della farina. Di fatto, l’impiego in termini di quantitativo in questi casi è molto simile a quello della pasta madre acida.
E’ logico che il riporto utilizzato in associazione alla pasta madre non avrebbe senso ma nessuno ci vieta di sperimentare per scoprire e per imparare di più dalla pratica quotidiana. 😉
Altra cosa importante da tenere a mente è che nel caso di impiego di pasta di riporto, la percentuale di sale da inserire nell’impasto dovrà scendere in relazione del 1.5% circa poiché già di per se il riporto potrebbe contenere SALE.
Il sale assume un ruolo abbastanza importante in panificazione.
E’ un ingrediente che contribuisce a “sostenere” la struttura glutinica che si genera nell’impasto conferendogli elasticità e resistenza, rallentandone l’attività enzimatica e microbica.
Il riporto può contribuire ad accelerare la maturazione dell’impasto finale tuttavia questo dipende da diversi fattori quali, le varie associazioni che se ne fanno e, come dicevo più su, il quantitativo utilizzato nell’impasto. E’ bene utilizzarlo ben maturo e quindi almeno 24/48 ore dopo la lievitazione dell’impasto precedente ossia, quando ha raggiunto il pieno della sua maturazione e conseguente acidificazione.
Io sono solita utilizzarlo operando un rinnovo, solo se decido di impiegarlo come unico agente lievitante e quindi senza aggiunta di altre tipologie di lievito. Viceversa, lo inserisco nel nuovo impasto non più di 48 ore dopo il precedente, in aggiunta a madre acida o lievito di birra.
Suggerisco, per esperienza personale diretta, di mantenere la pasta di riporto a temperatura ambiente per non più di 12/24 ore mentre in frigo, se la si vuol mantenere un pochino più a lungo, non oltrepassare le 48/72 ore ma questo dipende anche da quanto volete che inacidisca. Ne consegue che il gusto, sempre molto soggettivo, fa la sua parte.
Coefficente di idratazione del riporto in caso di rinnovo
Io uso il riporto idratando la farina di rinfresco al 40%.
Fatta questa premessa, mediante un’equazione di primo grado sono giunta ad identificare un parametro che potrebbe essere definito un coefficiente fisso, che mi aiuta a calcolare velocemente quanta farina e quanta acqua devo aggiungere al mio pezzo di riporto per il prossimo fermento.
Poniamo il caso che io possegga un quantitativo di riporto pari a 40 g e voglia utilizzare il 22% di pasta di riporto su un totale di 800 g di farina per realizzare il mio pane. Il mio calcolo dovrà essere: 800 x 0,22. La dose totale di fermento che voglio inserire in ricetta è pari a 176 g ai quali dovrò sottrarre i 40 g di riporto in mio possesso quindi: 176 – 40 = 136.
Il coefficiente a me utile a calcolare il quantitativo di acqua da aggiungere sul peso della farina che andrò ad aggiungere corrisponde a 0,2857 che arrotondo a 0,30.
A questo punto moltiplicando 136 g per 0.30 troviamo il peso dell’acqua che ci servirà ad idratare il quantitativo di farina da impiegare nel nuovo rinfresco (40.8). Il quantitativo di farina è ottenuto per differenza (136 – 40.8 = 95.2 g di farina per il nuovo impasto da sottoporre a fermento).
La pasta di riporto, comunque sia impiegata, secondo me migliora resa, aromi e sapori dei prodotti da forno che poi al gusto, diventano molto più “decisi” e intensi.
Ritengo comunque importante sottolineare che esistono molte tipologie di impasti e tipi di fermentazioni diversificate a seconda della tipologia di pane quale prodotto della scelta operativa del panificatore artigiano.
Sempre all’artigiano dunque spetta scegliere, a seconda del tipo di impasto che intende realizzare, quando e come utilizzare il riporto nelle proprie produzioni.